
ABSTRACT:
Spesso usiamo nelle nostre conversazioni il termine: “forza di volontà”, e quasi sempre, per additare a qualcuno il fatto di non averne abbastanza. Non sappiamo, però, che oltre a tutto quello cui possiamo associarla alle persone: astri, segni zodiacali, genetica (ecc.), essa dipende in maniera marcata da quanto e cosa mangiamo, e di conseguenza da quando ci viene chiesto di metterla in atto!
“Forza di volontà” non è un modo di dire
Se la forza di volontà non è una semplice metafora, da dove arriva l’energia che alimenta questa virtù? La risposta è emersa da diversi studi tra cui uno condotto da alcuni nutrizionisti nel corso di esperimenti sull’alimentazione nelle scuole elementari.
A tutti i bambini di una classe era stato detto di saltare la prima colazione, poi, a caso, a metà di loro era stata offerta una buona colazione a scuola e all’altra metà nulla. Durante la prima parte della mattinata, i bambini che avevano fatto colazione erano stati più attenti e si erano comportati meglio (a giudizio di osservatori che ignoravano quali bambini avessero mangiato). Poi, quando a tutti era stato distribuito un sostanzioso spuntino a metà mattina, le differenze erano scomparse come per magia. Il prodigioso ingrediente era stato isolato misurando il tasso glicemico, prima e dopo lo svolgimento di compiti molto semplici, come guardare un video durante il quale sullo sfondo comparivano alcune serie di parole. Ad alcuni soggetti era stato detto di ignorare le parole, mentre altri erano liberi di rilassarsi e di guardare quello che volevano. Il livello di glucosio, in seguito, era stato nuovamente misurato e si era notata una differenza significativa: il tasso era rimasto costante negli spettatori rilassati, ma era calato notevolmente fra coloro che si erano sforzati di ignorare le parole. Quell’esercizio di autocontrollo, apparentemente limitato, era associato ad un calo considerevole nel livello di glucosio che alimentava il cervello.
Per ristabilire un rapporto di causa ed effetto, i ricercatori hanno provato a ricarburare il cervello con limonata addolcita, o con zucchero o con un dolcificante dietetico. Lo zucchero forniva una carica energetica veloce, ma non duratura per cui gli esperimenti non potevano essere prolungati nel tempo, mentre il dolcificante non forniva né glucosio né nutrimento. Gli effetti delle bevande si erano visti chiaramente in uno studio sull’aggressività fra persone che giocavano a un videogioco. Inizialmente, tale gioco sembrava relativamente semplice, ma ben presto si era rivelato difficilissimo. Tutti avevano mostrato segni di impazienza, ma coloro che avevano bevuto una bevanda zuccherina avevano continuato a giocare brontolando tra sé e sé, gli altri invece avevano cominciato ad imprecare ad alta voce e a colpire il computer (…).
Niente glucosio, niente forza di volontà. La forza di volontà non sembrava più una pura e semplice metafora, ma si poteva paragonare a un muscolo che si affatica con l’uso.
Non dimenticate di collegare la spina!
All’inizio, prima del Novecento, i ricercatori vedevano la mente umana come un computer, concentrandosi sul modo in cui elabora le informazioni, ma, nella loro ansia di tracciare la mappa dei circuiti cerebrali, quasi tutti gli psicologi avevano trascurato un elemento ordinario alquanto essenziale della macchina: il cavo dell’alimentazione. Senza una fonte di energia non funzionano né i computer né il cervello, ma gli psicologi ci hanno messo un po’ a capirlo e ci sono arrivati non attraverso l’informatica, ma attraverso la biologia. La trasformazione della psicologia sulla base di concetti derivanti dalla biologia è stato uno dei principali sviluppi di fine Novecento. Alcuni ricercatori hanno scoperto che i geni hanno effetti importanti sulla personalità e sull’intelligenza, mentre altri hanno dimostrato che i comportamenti sessuali e affettivi umani confermano le previsioni della teoria evoluzionistica e assomigliano ad aspetti comportamentali di molte specie animali. I neurologi hanno cominciato a mappare i processi cerebrali, mentre altri hanno scoperto in che modo gli ormoni alterano il comportamento.
Una delle complicanze acute più frequenti del diabete è l’ipoglicemia, che può ridurre le capacità intellettive e si combatte somministrando alimenti, non necessariamente dolci, la cui digestione produce glucosio che, a sua volta, entra in circolo nel flusso sanguigno ed è distribuito a tutto l’organismo. I muscoli utilizzano una grande quantità di glucosio, così come il cuore, fegato e sistema immunitario, ma quest’ultimo solo sporadicamente, quando l’organismo non è in buone condizioni di salute.
Le persone ammalate dormono molto perché l’organismo sfrutta tutta l’energia a sua disposizione per combattere la malattia e gliene resta ben poca per fare attività fisica, discutere, ma anche pensare, un processo che necessita di glucosio in abbondanza nel flusso sanguigno. Il glucosio, in realtà, non penetra nel cervello ma è convertito in neurotrasmettitori, sostanze chimiche utilizzate dal cervello per inviare segnali. Se i neurotrasmettitori si esaurissero, smetteremmo di pensare.
Connessione corpo – mente
Il collegamento tra glucosio e autocontrollo è emerso da studi affetti da ipoglicemia, nelle quali si era riscontrata una difficoltà di concentrazione e di controllo delle emozioni negative in caso di provocazione superiore alla media. In generale gli ipoglicemici tendono ad essere più ansiosi e meno soddisfatti, ma si è anche osservato che l’ipoglicemia ha un tasso di incidenza superiore alla media fra le persone di indole violenta e quelle che commettono reati.
Sono stati osservati numerosi risultati e ripetuti, in gruppi di soggetti diversi, quando i ricercatori hanno escogitato altri modi per misurare sensazioni emotive più complesse, per esempio osservando la resistenza fisica delle persone. Per sostenere uno sforzo prolungato, come una maratona, l’allenamento non è sufficiente: per quanto si sia allenati, ad un certo punto l’organismo deve avere la volontà di resistere e la mente deve imporre di continuare a correre. Analogamente non basta la semplice forza fisica per continuare a stringere una molla con la mano, perché dopo un breve periodo la mano si stanca e gradualmente i muscoli si indolenziscono. L’istinto naturale è di allentare la presa, ma è possibile imporsi di continuare a stringere, a meno che la mente non sia impegnata a sopprimere altre sensazioni, come ha dimostrato un altro esperimento. Per descrivere la riduzione della capacità di controllare i propri pensieri, sensazione e azioni, Freud Baumeister ha optato per il termine “esaurimento dell’ego”. Esso è finito per comparire in migliaia di testi scientifici, man mano che gli psicologi ne hanno compreso l’utilità, per spiegare un ampio ventaglio di comportamenti. Come si verifichi l’esaurimento dell’ego all’interno del cervello è stato chiarito sottoponendo una serie di persone a EEG, registrando l’attività elettrica cerebrale e capendo come il cervello affronta problemi di varia natura.
Esperimenti
L’esperimento prendeva in esame la corteccia cingolata, quella regione predisposta a riconoscere le divergenze tra ciò che si intende fare e ciò che si fa, un sistema di monitoraggio dei conflitti o di individuazione degli errori. I soggetti dell’esperimento avevano guardato, con la testa piena di elettrodi, le scene sconvolgenti di alcuni documentari che mostravano la sofferenza e la morte di certi animali. Metà delle persone doveva reprimere le reazioni emotive, mettendosi in uno stato di esaurimento dell’ego. Gli altri dovevano solo guardare i filmati attentamente. Tutti, poi, dovevano svolgere un’altra attività, apparentemente priva di qualsiasi collegamento con quella precedente: dovevano dire di che colore fossero alcune lettere dell’alfabeto. Per esempio una fila di XXX poteva essere stampata in rosso, piuttosto semplice. Ma se la parola “VERDE” era stampata in rosso, ci voleva uno sforzo supplementare, perché occorreva ignorare il primo pensiero suscitato dalla lettura della parola (verde) e sforzarsi di identificare il colore dell’inchiostro (rosso). Numerosi studi hanno dimostrato che, in tali circostanze, le cavie sono meno veloci nel rispondere. Scegliere il colore giusto si era rivelato particolarmente difficile per le persone che avevano già impoverito la loro forza di volontà guardando l’inquietante documentario sugli
animali. Dovevano pensarci più a lungo e commettevano più errori, mentre gli elettrodi registravano una scarsissima attività nel sistema cerebrale di monitoraggio dei conflitti: in pratica i segnali d’allarme degli errori erano più deboli. I risultati hanno dimostrato che l’impoverimento dell’ego provoca un rallentamento nella corteccia cingolata anteriore, che non riesce più ad individuare errori, o, se ci riesce, lo fa molto lentamente. Di conseguenza le persone fanno fatica a controllare le loro reazioni e devono sforzarsi per fare cose che costerebbero molta meno fatica se il loro ego non fosse esaurito e quindi se ci fosse abbastanza glucosio in circolo. Per i neurologi tali risultati sono interessanti, ma per i comuni mortali sarebbe più utile identificare l’impoverimento dell’ego senza cospargersi la testa di elettrodi.
“Scusa ma ero fuori di me!”
Quali sono i sintomi evidenti che ci avvisano che il nostro cervello non è particolarmente in grado di controllarsi, prima di litigare con il partner o far fuori un’intera vaschetta di gelato? Fino a tempi recenti, gli esperti non erano di grande aiuto, pur avendo effettuato decine di esperimenti sulle reazioni emotive che però si erano rivelati inconcludenti o addirittura contraddittori. L’impoverimento della fora di volontà non era costantemente preannunciato da depressione, collera o insoddisfazione.
Nel 2010 un’equipe internazionale di ricercatori ha concluso che gli effetti dell’impoverimento dell’ego sul comportamento sono forti, di vasta portata e chiari, mentre gli effetti sulle sensazioni soggettive sono decisamente più vaghi. Le persone in tali condizioni talvolta sono più affaticate e di malumore, ma non in misura significativa rispetto ad altre. In pratica, sembrava che l’impoverimento dell’ego fosse una malattia priva di sintomi. Tuttavia, nuovi esperimenti condotti da Baumeister e dalla sua equipe hanno rivelato che, in realtà, i segnali dell’esaurimento dell’ego esistono.
Le persone esaurite, pur non mostrando sintomi indicativi, reagiscono in maniera amplificata di fronte a stimoli di qualsiasi genere: un film triste le avvilisce eccessivamente, uno allegro le fa ridere di più, uno inquietante le spaventa maggiormente, sopportando meno la sensazione dell’acqua gelida e i loro desideri si intensificano (dopo aver mangiato un biscotto ne vogliono subito un altro). Quindi, non bisogna cercare un singolo sintomo, piuttosto un cambiamento nell’intensità globale delle sensazioni individuali. Se vi sentite particolarmente infastiditi o rattristati da pensieri sgradevoli, o al contrario, fin troppo contenti per una bella notizia, forse è perché i vostri circuiti cerebrali non stanno controllando adeguatamente le vostre emozioni. È anche vero che le sensazioni intense possono essere molto piacevoli e sono una parte essenziale della nostra vita, e queste possono essere un indice. Se state cercando di resistere ad una tentazione, potreste provare il desiderio proibito più intensamente proprio quando la vostra capacità di resistervi è più debole.
L’esaurimento dell’ego crea quindi un doppio problema: la forza di volontà diminuisce e i desideri si acuiscono più che mai. Il problema può essere particolarmente grave per le persone affette da dipendenze. Durante la privazione, la persona che cerca di liberarsi da una dipendenza fa appello a tutta la sua forza di volontà (usa tutto il glucosio disponibile) per perdere un certo vizio, per cui entra in uno stato di intenso e prolungato esaurimento dell’ego, stato che le fa provare il desiderio in maniera ancora più intensa. Non deve quindi stupire che le ricadute siano così frequenti e che le persone affette da dipendenza facciano tanta fatica.
Consigli utili
Uno dei consigli per rendere efficace la propria forza di volontà è di concentrarsi su un solo progetto alla volta. Se vi prefissate più di un obiettivo di automiglioramento, può darsi che per qualche tempo ce la facciate attingendo alle vostre riserve di forza di volontà, ma alla lunga vi ritroverete più esauriti e più a rischio di commettere errori.
I grossi cambiamenti della vita vanno affrontati uno alla volta per evitare di vanificare i propri sforzi. Soprattutto non fatevi un elenco di buoni propositi per l’anno nuovo. Ogni Capodanno milioni di persone si alzano dal letto piene di questi ultimi: mangiare e spendere meno, fare più sport, lavorare di più, tenere la casa pulita, (…). Il primo Febbraio quelle stesse persone si vergognano persino di guardare quell’elenco, ma invece di dare la colpa alla loro mancanza di forza di volontà, dovrebbero darla alla lista che richiederebbe uno sforzo sovraumano. Poiché si ha una sola riserva di forza di volontà, le varie buone intenzioni sono concorrenza tra loro: ogni volta che si cerca di metterne in pratica una si riduce la riserva per tutte le altre. La soluzione migliore è fare un solo proponimento e attenervisi e vedrete che quell’unico sarà già abbastanza impegnativo e che ci saranno momenti in cui anche un solo proposito vi sembrerà troppo.
Bibliografia
La forza di volontà. Come sviluppare i muscoli del successo. (2015) Roy F. Baumeister, John Tierney.
Giovanni Antonelli
Autore dell'articolo
Laureato in scienze motorie lo scorso Ottobre 2019, studente di Laurea Magistrale in Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattate presso l’Università San Raffaele Roma. Ex atleta di nuoto agonistico, ad oggi praticante di arti orientali: “Kung-Fu”. Passo molte ore al giorno studiando e provando nuovi metodi di allenamento per comprenderne i meccanismi e l’efficacia, mi piace il movimento, non riesco a non fare attività. Vivo in una città del Sud che non offre nulla per poter mettere in campo le nozioni acquisite, se non piccole e vecchie palestre di quartiere.
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